Dietmar Schimdtbleicher dall’università di Friburgo, tramite una review, sottolinea come l’importanza della forza esplosiva diviene chiara se si tiene presente che la maggior parte delle attività motorie nelle discipline di forza hanno BREVE DURATA!
Un colpo di un pugile ad esempio dura 60ms, le fasi di appoggio di un salto in alto o in lungo durano tra 150 e 250ms.
Al contrario il tempo necessario a raggiungere la massima contrazione volontaria è di circa 400ms, e può arrivare a 800ms.
Era già quindi chiaro allora, sempre una valanga di anni fa, che per esercitare una grande forza è necessario esercitare un grande IMPULSO. La massima forza nel minor tempo possibile. E’ qui che va concentrato il lavoro, e Ado Gruzza ne spiega le basi in uno dei suoi recentissimi articoli usciti su AIF; da leggere!
Ancora, lo stesso Schimdtbleicher D., in un suo articolo del 1981 “changes in contractile properties of muscle after strength training in man”, studia longitudinalmente sessanta atleti maschi tra i 22 e i 25 anni di età.
Li divide in quattro gruppi omogenei comparabili. Tutti i gruppi svolgevano 4 allenamenti settimanali per 12 settimane praticando la panca piana.
– Il gruppo A svolgeva un programma di allenamento a carichi elevati, nell’ordine del 90% del massimo carico sollevabile, e tra 4 e 1 ripetizione;
– Il gruppo B si esercitava con 5 serie da 8 ripetizioni con un carico del 60%;
Questi due gruppi avevano il compito di eseguire le ripetizioni nel modo tecnicamente corretto e più ESPLOSIVO possibile.
– Il gruppo C si allenava con 3 serie da 12 ripetizioni e con un carico del 70%.
Questo gruppo non aveva il compito di essere esplosivo;
– Il quarto gruppo, D, era il controllo.
I risultati mostrarono CHIARAMENTE che un allenamento con carichi elevati e con minori ripetizioni, se seguito in modo esplosivo, porta ad un adattamento nervoso nell’attivazione delle unità motorie; cioè ad un più rapido sviluppo dell’attività elettrica durante una contrazione, che si traduceva in un tempo minore per generare Forza.
L’allenamento del gruppo B e del gruppo C non aveva mostrato alcun effetto sull’adattamento del SNC.
Citando una riga tradotta dell’articolo:
“Da un punto di vista pratico, un allenamento contro resistenze elevate effettuato ricercando l’esplosività del gesto, porta ad effetti migliori per l’aumento della velocità del movimento rispetto ai metodi contro una bassa resistenza, come l’allenamento ad esaurimento”
E ancora:
“Per garantire un effetto REALE dell’allenamento della Forza, in tutti gli esercizi e in tutte le ripetizioni l’atleta deve puntare ad una velocità esecutiva minima, non inferiore ad un certo livello indicato dalla prestazione target, se non vuole abituare la muscolatura ad un tipo di contrazione lenta che diminuirebbe la prestazione e rischierebbe di modificare le caratteristiche neurofisiologiche muscolari”
Ecco l’ ESD! 30 “fottutissimi” anni fa!
Ed ecco sfatati 30 anni di preparazione coi sovraccarichi che rispecchiano troppo le mode del fitness e del body building per l’incremento di Forza.
La ricerca è la chiave per tornare al principio e capire la Fine.
“Non c’è niente di più pratico di una buona teoria”
Levin
APPENDICE
Classificazione della tipologia di fibra muscolare
I primi studi relativi alla diversa tipologia di fibre, si possono attribuire a Lorenzini nel 1678, che le classifico in “bianche” e “rosse”; pensando che questi ultimi fossero maggiormente ricchi di sangue rispetto ai primi.
Agli inizi del ‘800, l’intero muscolo fu classificato come veloce, “fast”, oppure lento, “slow”, in base alla sua velocità di accorciamento (Ranvier, 1873).
Questo tipo di conformazione corrispondeva anche a differenze morfologiche che vedevano, soprattutto in alcune specie di uccelli, i muscoli rapidi di colore chiaro e i muscoli lenti di colore scuro. La colorazione scura dei muscoli a contrazione lenta è, in effetti, dovuta sia al loro alto contenuto di mioglobina sia alla fitta capillarizzazione. Tali caratteristiche tipiche dei muscoli “lenti”, sta alla base del loro grande potenziale ossidativo.
Le prima analisi istologiche dimostrarono come esisteva una correlazione tra l’attività ATPasica della miosina (l’attività di idrolisi dell’ATP, e quindi della “velocità” del suo utilizzo) e la velocità di accorciamento del muscolo. Proprio grazie a questa differenziazione fu possibile formulare l’originaria suddivisione delle fibre muscolari in: Tipo I (slow twitch fibers, ST) e tipo II (fast twitch fibers, FT) (Barany, 1967).
Ad oggi la classificazione è arrivata a considerare 7 tipologie di fibra muscolare: